lunedì 22 dicembre 2008

Bisogna guardare in faccia anche alla realtà



Stasera ho saputo che una vicina di campagna è morta
tuffandosi nel pozzo… La cosa che mi ha lasciato turbato non è tanto il fatto
che una persona che conoscessi da quando ero piccolo si è suicidata, né tantomeno
il fatto che aveva problemi tali da portarla a quel gesto estremo, ma è la
modalità che mi impone pensieri.

Innanzitutto, possibile che anche quando dobbiamo decidere
di morire volontariamente dobbiamo sfruttare le nostre paure, le nostre
ignoranze? Buttarsi da un dirupo significa non avere la possibilità di volare,
tagliarsi le vene punta sulla debolezza della carne, impiccarsi (molto diffuso
in questa zona) implica la grande importanza che diamo all’aria, gettarsi in un
puzzo sfrutta l’incapacità a nuotare, e posso continuare in vari modi… ma non
voglio essere pesante.

In secondo luogo, scegliere ti togliersi la vita perché non
si è amati è grave: vuol dire che nella vita dopo tanti anni non si è fatto
niente in modo tale che si possa essere ricambiati. O è la semplice sfortuna di
aver avuto persone accanto che non sono riuscite a capirci?

Per ultimo, una persona religiosa che crede in ciò che Gesù
Cristo ha fatto per noi, decide che il dolore che accomuna tutti noi uomini è
insopportabile da sostenere. Ragion per cui ci si sottrae ad esso con l’ultimo
sforzo di dolore, quello più tragico, più… doloroso. Cosa si pensa mentre si è
all’ultimo respiro, quando tutto ciò che possiamo realizzare è il completo
fallimento di noi stessi? Perché devono essere i deboli a soccombere se la
giustizia non è alla fine né dei deboli né dei forti?

Recentemente ho saputo di una vecchia leggenda del Nord
Italia (ma può essere anche vera) e che riporto di seguito.

“Correva l'anno 1871, e lo stupendo splendore della conca della Presolana
era già nota anche all'estero. Infatti, durante il dominio austriaco risalente
agli anni precedenti l'unità d'Italia, parecchie compagnie militare dell'impero
asburgico avevano avuto modo di contemplare le bellezze di tali luoghi.

Alcuni dei militi rimasti in Italia provenivano dagli oriundi Polacchi, e
anche loro magnificavano le bellezze di tale terra ai parenti polacchi, durante
la corrispondenza che inviavano loro periodicamente.

Uno di questi, un certo Massimiliano Prihoda, polacco e musicista di
professione, si trovava in Italia per tenere un concerto alla Scala e non volle
perdere l'opportunità di andare a trovare i parenti trapiantatisi a Dorga, una
località della conca della Presolana. Affascinato dalla bellezza dei posti, e
dalla maestosità dei panorami delle montagne, passava ore e ore nello scrivere
spartiti, immerso nella quiete dei posti.
Il luogo prediletto era la sommità di un dirupo dal quale poteva rimirare le
montagne circostanti che percorrono la Valle di Scalve e la Valle Canonica.

Affascinato ed innamorato dai posti, decise di tornarvi definitivamente con
la giovane moglie, Anna Stareat. Ritornato in Polonia vendette la casa, sistemò
i suoi affari, e tornò in Italia con la moglie.
Tutti i giorni la giovane coppia percorreva il sentiero che conduceva al dirupo
per contemplare il paesaggio e la moglie, affermata pittrice, trovava degna
ispirazione per i suoi quadri, mentre il marito scriveva spartiti musicali.
La giovane coppia fu presa a benvolere dagli abitanti del luogo. Sempre
insieme, con il sorriso sulle labbra, sempre con la mano nella mano, e con una
parola affabile per tutte le persone che incontravano. Alla fine, Massimiliano
e Anna, divennero per gli abitanti del posto, semplicemente " gli sposi
". Ma un giorno capitò la tragedia.

Secondo le varie testimonianze raccolte presso gli abitanti, verso la fine
del mese di settembre, dell'anno 1871, e dopo un tremendo acquazzone, gli sposi
si recarono presso il dirupo per rimirare il panorama abbellito da un tenue
arcobaleno. Anna dipinse il ritratto del marito con sullo sfondo la montagna
del Pizzo Camino, e Massimiliano scrisse una composizione dedicata alla moglie.
Per qualche inspiegabile motivo, mentre la luna stava sorgendo, i giovani sposi
raggiunsero l'orlo dello strapiombo e si gettarono di sotto abbracciati.
Furono trovati il giorno dopo alla base del dirupo, ancora abbracciati, dalla
guardia boschiva Bortolo Dovina.

Il fatto rimane tuttora avvolto nel mistero nonostante le diverse indagini
effettuate a suo tempo. La conclusione più logica che sono riusciti a trovare
per giustificare tale triste atto, è stata individuata nella volontà dei due
sposi di preservare per l'eternità il dolce sentimento che li univa.

Il quadro dipinto da Anna, e lo spartito di Massimiliano scritto per la
moglie, furono consegnati ai loro parenti e oggi sono gelosamente custoditi da
una famiglia di nobili di origini polacche.
A ricordo della tragedia, e in memoria dei due sposi, da allora il precipizio è
chiamato " il Salto degli Sposi " e per anni la triste storia non
fece altro che alimentare le pagine dei quotidiani locali.

Con il trascorrere del tempo, il luogo crebbe di notorietà diventando la
meta preferita degli innamorati i quali, in segno d'augurio per il loro amore,
gettano dei fiori dalla sommità del dirupo.”

Tra storia e (probabile) legenda.

Non voglio incutervi timore, se siete facilmente suggestionabili a questi argomenti,
per cui mi fermo e, magari, se volete, lasciatemi qualche storia del genere. A me
non spaventano…

A risentirci!

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