Come ho deciso da un po’ di tempo fa, non voglio entrare nelle questioni politiche, quindi neanche sulla dichiarazione di Berlusconi “meglio essere appassionati di belle ragazze che gay”. Voglio restare, quindi, su un argomento più “leggero” ma, concorderete con me, più “nobile”: l’amore.
Si dice che l’more è il linguaggio universale dell’uomo (come genere umano). Ma per universale forse ci si limita ancora a intendere la razza, magari l’età. Non si considera, invece, che l’amore esiste anche tra uomo e uomo e tra donna e donna.
Io mi considero una persona omofoba. Non vi scandalizzate: omofoba è una persona che non considera naturale un rapporto tra persone dello stesso sesso. Certamente, non sono uno che va a picchiarli (anche se i tg lasciano libera l’associazione omofobia = violenza). La mia omofobia significa che, per me, il vero e unico tipo di rapporto naturale è quello tra uomo e donna. Una concezione basata, forse, troppo sulla religione che professo. Eppure non vedo niente di naturale (da “natura”) nell’omosessualità maschile e femminile.
Nonostante questo, tuttavia, non manco loro di rispetto né sono contrario a che loro abbiano rapporti. Sono scelte personali e che vano rispettate. Sarei contrario, piuttosto alle adozioni ai gay, ma qui usciamo fuori dal tema principale.
Insomma, amare è volersi bene e provare reciprocamente sentimenti di affetto. E in questa definizione rientrano anche quelli omosessuali, al pari di quelli eterosessuali.
C’è un poeta francese, noto e manifesto omosessuale della seconda metà dell’Ottocento, che proprio a causa di questo suo orientamento sessuale, non ebbe molto successo e, fino a pochi anni fa, era ancora censurato in Francia. È uno dei “poeti maledetti”, come si definì egli stesso, e ammiratore di Baudelaire: Paul Verlaine.
Verlaine si sposò ed ebbe un figlio. Successivamente, conobbe Rimbaud, altro scrittore francese, e scappò con lui per amore a Londra. La loro storia durò un annetto quando Verlaine, ubriaco, sparò Rimbaud senza ucciderlo. Pentito e in carcere, si convertì al cattolicesimo. Tornò in Francia e fu assunto come maestro di inglese. È qui che conobbe uno studente, Lucien Létinois, di cui si innamorò e con cui ebbe una relazione, che finì poiché il giovane studente si ammalò di tisi.
E qui fermiamo un attimo il veloce racconto della vita di Verlaine, poco interessante perché dedita più che altro all’alcolismo e alle droghe e qualche altro annetto in prigione. Ci fermiamo perché, alla morte di Létinois, Verlaine scrive una raccolta di poesie chiamate “L’amour” e dedicate al giovane studente. Una particolarmente mi ha colpito navigando su internet e la riporto qui. Il titolo corrisponde semplicemente alle prime parole del componimento “Ho il furore d’amare”.
“Ho il furore d'amare. Il mio debole cuore è pazzo.
Non importa quando, né importa chi o dove,
che un lampo di bellezza, di virtù, di valore
splenda, subito vi si precipita, vola, si lancia,
e, nel tempo d'un abbraccio, cento volte bacia
l'essere o l'oggetto che la sua scelta insegue;
poi, quando l'illusione ha ripiegato la sua ala,
ritorna triste e solo, molto spesso, ma fedele,
e lasciando agli ingrati qualcosa di se stesso,
sangue o carne. Ma, senza più morire nel suo tedio,
presto s'imbarca per l'isola delle Chimere
e ne riporta soltanto amare lacrime
che assapora, e orribili disperazioni d'un istante,
poi s'imbarca di nuovo.
- È talmente deciso e tenace
che nelle sue corse negli infiniti gli accade,
navigatore testardo, d'andar dritto alla riva
senza curarsi affatto che possa esistere
uno scoglio vicino, a infrangere lo scafo.
Anzi, fa dello scoglio un trampolino e a nuoto
a riva si dirige. Eccolo là. Il prodigio sarebbe
se non avesse fatto avidamente il giro
dal mattino alla sera e dalla sera al mattino,
e il giro e il giro ancora del promontorio.
E niente! Non alberi né erbe, né acqua da bere,
la fame, la sete, e gli occhi bruciati dal sole,
nessuna traccia umana, e non un cuore simile!
Non al suo, - mai ne avrà uno somigliante, -
ma un cuore d'uomo, un cuore vivo, palpabile,
seppure falso, seppure vile, un cuore! come, non un cuore!
Resterà in attesa, senza perdere nulla della sua forza
che la febbre sostiene e l'amore incoraggia,
che un battello mostri la cima dell'albero da queste parti,
e farà dei segnali che saranno visti:
così ragiona. E poi fidatevi!
un giorno si fermerà non visto, lo strano apostolo.
Ma che gli fa la morte, se non quella d'un altro?
Ah, i suoi morti! Ah, i suoi morti, ma è più morto di loro!
Ancora qualche fibra del suo spirito focoso
vive nella loro fossa, vi attinge una dolce tristezza;
li ama come un uccello il suo nido di muschio;
la loro memoria è il suo caro cuscino, vi dorme,
di loro sogna, li vede, ci parla e se ne va,
pieno di loro, solo per un nuovo spaventoso affare.
Ho il furore d'amare. Che farci? Ah, lasciar fare!”
Il motivo di questo intervento è quello di dimostrare che l’amore omosessuale è davvero uguale a quello eterosessuale, salvi i risvolti riproduttivi, magari. La mia mentalità è “quadrata” (ossia ristretta, ottusa), ma le parole di Verlaine sono le parole di un qualsiasi uomo innamorato e, se non sapessimo che questa poesia fosse dedicata a un altro uomo, sicuramente ne faremmo uno dei nostri simboli di un amore non corrisposto o finito male. Che ne pensate?
Umore del giorno: lo ammetto, questa poesia ma anche altre che ne ho lette stanno un po’ facendo breccia nelle mie convinzioni omofobe. O sarà l’assurda volontà di pensare il contrario di Berlusconi?
E il tempo va…
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